Per i 33 anni delle apparizioni di Maria a Medjugorje posto un articolo che avevo pubblicato in Studi Cattolici n. 489 – Novembre 2001 a firma Riccardo Caniato (che è un amico e il caporedattore della rivista). Lo faccio anche con spirito di riparazione perché a quell’epoca ho avuto vergogna di questo racconto. L’avvenimento di cui parlo è avvenuto un giovedì pomeriggio di ottobre (non ricordo esattamente la data) quando stavo recandomi da Milano a Como per una presentazione di Quare: a sorpresa Riccardo aveva voluto organizzarmi questo incontro con Marija Pavlovic Lunetti che abita a Monza con il marito e i figli.
I processi di canonizzazione sono quegli iter attraverso cui la Chiesa proclama la santità di qualcuno dei suoi figli. Uno degli elementi necessari perché tale processo si concluda positivamente è la comprovata esistenza del miracolo: uno per la beatificazione e un altro per la canonizzazione. Il miracolo non è l’unico elemento di tale processo, ma è un elemento necessario. La Chiesa chiama tale evento digitus Dei: è latino e significa «dito di Dio».
Attraverso la conferma del miracolo la Chiesa è convinta che Dio segni a dito una certa vita: per qualche motivo che solo Lui sa, indica una certa esistenza come esemplare, una via al Cielo.
L’espressione digitus Dei, il dito di Dio, non è esattamente una novità. È vecchia per lo meno di alcuni millenni e per essere esatti radica nell’Esodo, in quello straordinario racconto che è il braccio di ferro tra Mosè e il Faraone per la liberazione degli ebrei. All’inizio avviene che i maghi di corte sono in grado di replicare i prodigi compiuti da Mosè davanti al Faraone. Mosè faceva un miracolo e gli stregoni d’Egitto lo rifacevano. Mosè trasformava il suo bastone in serpente? Anche i maghi. Mosè produceva rane? Anche i maghi non erano da meno. Ovviamente la domanda era: qual è il segno riservato solo a Dio e che esclude ogni inganno del demonio? Viene un momento in cui gli indovini di corte non riescono più a stare dietro a Jawhé. È allora quando sono costretti a confessare: qui c’è il dito di Dio (cfr Es 8,15), ed è allora quando nasce l’espressione cui ci riferiamo. Fino a quel momento, l’atteggiamento del Faraone è di buon senso. È saggio e prudente. Noi uomini , dopo tanti millenni, facciamo lo stesso; anche noi andiamo in giro per il mondo e, più o meno consapevoli, ci chiediamo: qual è il segno riservato solo a Dio e che esclude ogni inganno del demonio? Noi cristiani, poi, siamo un po’ più esigenti degli altri, e, in genere di fronte ai fatti straordinari storciamo il naso.
Con fondamento. In primo luogo, gli straordinari misteri cui dobbiamo credere appartengono al deposito della fede e la Chiesa ha un carisma speciale per elencarceli: quelli e solo quelli. In secondo luogo, sappiamo che i fatti straordinari sono utili se sono voluti da Dio e accolti con cuore aperto, ma in se stessi possono non servire a nulla e persino danneggiare. Basta vedere il Faraone. Tutti sappiamo che il momento in cui i suoi maghi battono in ritirata non segna la sua conversione, ma l’indurimento del suo cuore. Avrà bisogno di altri sette miracoli per cedere. Per cedere, non per convertirsi. E appena potrà, farà in modo di rivalersi e la sua gente affogherà nel Mar Rosso (il popolo sconta sempre l’incredulità dei governanti).
Aggiungerei poi un terzo motivo. Poiché sulla bocca di Gesù la parola «i piccoli» è un titolo d’onore dei suoi discepoli, è assolutamente chiaro che il nocciolo della santità non risiede in fatti straordinari. È evidente che la santità accade proprio nel miracolo della pazienza e della bontà quotidiana e che questa «piccolezza» è agli occhi di Dio la vera grandezza. Insomma, solo il miracolo di tutta una vita assieme con Dio non è ingannevole. Proprio questo è il miracolo che Dio compie sempre e di nuovo e che il demonio non sa replicare. Noi cristiani questo lo sappiamo. Perfino senza essercelo mai detti. Se oggi io posso credere, io con il mio nome e cognome, con la mia storia, ciò dipende dal fatto che lungo la mia vita ho incontrato qualche «piccolo santo» che mi ha aperto lo sguardo su Dio. Non penso solo al mio parroco o alla suora del catechismo (sante persone, per carità). Intendo mia mamma, mia nonna, un mio amico, un vicino di casa, una qualche persona che sorprendevo mentre trovava Cristo lentamente, come tornando verso una luminosità tranquilla.
A casa di Marija
Questi pensieri albergavano nel mio cuore mentre con un amico l’altro pomeriggio stavo andando in macchina verso la casa di Marija. Per chi non lo sapesse, Marija è una delle veggenti di Medjugorje. Ho scritto un libro sulla faccenda. È sposata con Paolo Lunetti, abita a Monza, e ha tre figli. Io sono sposato e ho due figli. Insomma anch’io ho famiglia. Racconto tutto perché è molto importante per il seguito. Stavo dicendo che eravamo in marcia verso Monza. Aveva invitato me e il mio amico a un thè con la Madonna. Marija non aveva detto così, sono io che chiamerò così quelle ore per il resto della mia vita. Andavamo in macchina, e io ero francamente ben disposto verso la faccenda. Scrivere quel libro mi aveva cambiato. Il mio cambiamento non lo racconto perché non c’entra. In quest’articolo racconterò solo le cose strettamente indispensabili. Andavamo in macchina verso Monza. Non indicherò la via esatta per una questione di privacy ma per gli scettici citerò l’ingorgo delle 16.05 che si trova uscendo da Milano. Chi conosce la carta moschicida dell’hinterland sa a che cosa mi riferisco. Citerò anche la bella nebbia umida e tiepiduccia di questo strano ottobre. L’appartamento è in un residence normale con lampioncini bianchi bassi nelle aiuole di prato giallino. Il portiere è una persona gentile e ci sorride. Fa un po’ da filtro a Marija per evitare a lei e alla sua famiglia i curiosi, e la prende un po’ in giro perché non parla bene l’italiano. Lui è sardo e io vorrei sapere come si cimenta lui con il croato. Comunque. Grazie alla carta moschicida, arriviamo un po’ in ritardo. Ma anche lei è appena rientrata: è andata a ritirare i bambini dalla piscina. La carta moschicida vale per tutti.
Il soggiorno è normale. Piuttosto sul carino. Paolo lavora, un lavoro normale. A un certo punto telefona. Loro hanno sempre inserita la segreteria telefonica, e io sento cosa si dicono. È un trucco che usa anche un mio amico medico. «Sono alla Fiera di Milano», dice. «Non ce la faccio a tornare per l’apparizione». Dice così proprio così. Proprio come faccio io quando telefono per dire a mia moglie che arrivo tardi per cena. Marija è una signora normale. All’anulare della mano sinistra ha la fede e un anello con un brillante; non ci sono tracce di simil coroncine del rosario (con tutto il rispetto per le corone del rosario da dito). Non ha Tau (con tutto il rispetto per il Tau). Non ha spille con la Madonna di Medjugorje, non ha portachiavi con la Madonna di Medjugorje. Anzi già che ci siamo ne approfitto per dire che casa sua assomiglia molto a casa mia. Il pavimento è di parquet e ci sono dei bei tappeti. Tutto ciò è la gioia di Michele, Francesco e Marco, i suoi tre figli, che camminano scalzi per casa (un mio grande sogno irrealizzato).
Fare tutto con il cuore
Senza offesa per la mia famiglia, è più pulito di casa mia. La colpa è di una delle fissazioni di Marija. Se non avete letto il mio libro, ne approfitto per spiegare che da vent’anni a questa parte, molti hanno detto e scritto che Marija ha delle fissazioni. Vorrei cogliere l’occasione per aggiungerne una: Marija è fissata per la pulizia. Anche a casa mia sono fissati, ma lei è peggio. Ci mettiamo a ridere e lei me lo conferma. Mi confessa che da qualche giorno ha il mal di schiena (secondo me ha anche un po’ di cervicale). Per non sentirmi da meno mi faccio avanti con il mio mal di stomaco. La cosa le interessa molto. Dedichiamo parecchi minuti all’analisi delle reciproche magagne. Sta per darmi alcuni suggerimenti. Attenzione. Una delle veggenti di Medjugorje sta per parlarmi del dolore. Mi preparo alla botta psicologica. Eccola infatti. Spunta un’altra fissazione. Marija è fissata anche per le caramelle Ambrosoli. Per prendere tempo e riavermi, la informo di avere un amico che fa l’apicoltore. Come succede sempre in questi casi, il discorso scivola sulla propoli. Convengo che, senza dubbio, è molto curativa. Può sembrare sorprendente, ma non ci viene in mente di collegare stomaco e schiena con le apparizioni. Non perché pensiamo che la Madonna abbia cose più importanti cui badare. Anni fa Jakov Le fece illuminare il Viso chiedendoLe chi avrebbe vinto il campionato jugoslavo (la Jugoslavia c’era ancora). Direi che noi quattro (la Madonna, Marija, il mio amico e io) siamo convinti che, se va bene a Dio va bene anche a noi.
Su un tavolino vicino al divano, le due fissazioni che mi sto premurando di documentare – le caramelle Ambrosoli ed essere una brava donna di casa – si sublimano. È un vassoio stracolmo di caramelle. Di ogni genere di caramelle: non solo quelle al miele. Il fatto è che Marija cerca di fare tutto con il cuore (cioè bene, con tutta sé stessa, fino in fondo). Seguitemi nel ragionamento: conscia che la cosa più importante che ha da fare è quella che sta facendo nell’istante in cui sta facendo quella cosa lì e non un’altra (il periodo è un po’ arduo, me ne rendo conto, ma vi prego di superare il disgusto: era una cosa molto importante da sottolineare e andava sottolineata così), sapendo di avere spesso visite, con grande magnanimità (gli appassionati di caramelle Ambrosoli mi capiranno certamente) ha deciso di superarsi e di ammettere nel vassoio anche altri tipi di caramelle oltre quelle al miele. Ecco perciò buonissime caramelle Mou, caramelle alla liquirizia, torroncini, cioccolatini, tobleroni, ecc. E mi scuso per gli eccetera che sono forse una scappatoia al mio precedente impegno di documentare qui le cose indispensabili.
Mentre i nostri discorsi scrutano la profondità e l’ampiezza della vita quotidiana, arriva il thè. Arriva, nel senso che una sua amica ce lo porta. L’amica rimane con noi a chiacchierare ma non prende il thè. Non ne ha voglia. Non si parla di digiuni, mortificazioni, espiazioni, penitenze. C’è lo zucchero e ne possiamo prendere quanto ne vogliamo. Scelgo tra latte e limone (scelgo liscio). Nel frattempo Francesco, il secondo dei figli, ha deciso di venire a giocare con il suo lego sul nostro tappeto. Ha la faccia tremendamente imbronciata e si capisce che deve essere successo qualcosa di molto grave di là, nella stanza con i fratelli. Marija fa qualche timido tentativo per estorcere delle informazioni ma viene decisamente respinta. Il cinquanta per cento di sangue croato prevale sulla metà monzese. Ciò dà modo a Marija di confidarci la sua lotta per non arrabbiarsi quando legge qualcosa contro Medjugorje. È devota di san Gerolamo: era dalmata e non croato ma, a quanto dice, in fatto di arrabbiature la differenza non è significativa. Nel frattempo è arrivato Marco, il terzo dei figli, e si vede subito che ha deciso che il profilo delle cose o delle persone che sono nel soggiorno è un’ottima pista per la gara di macchine che si sta svolgendo nella sua testa. È decisamente affascinato dalla suola delle mie scarpe. Seguirlo con gli occhi nei suoi movimenti mi dà modo di osservare meglio il soggiorno. Registro l’assenza alle pareti di rosari, stendardi, e icone. È tutto come a casa mia. C’è anche l’angolino con le foto importanti di famiglia. È lì che c’è una statuetta della Madonna.
Sensibilità & cure materne
A questo punto arriva lo scoop. Marija mi confida di essere una «sensitiva». Mi stava raccontando di non essere molto intelligente (veramente questo mi richiede una buona dose di fede perché non ho dati per suffragarlo), però di essere piuttosto sensibile e intuitiva. Questo ho capito che intendesse, perché in verità mi ha detto di essere «sensitiva».
E questo sì che lo posso testimoniare. Le succede infatti una cosa molto strana e del tutto desueta: si accorge dei bisogni e dei desideri degli altri. Vorrei pregare i suoi denigratori di aggiungere all’elenco la cosa che sto per raccontare perché documenta scientificamente la mia asserzione. Eravamo nel momento apicale del deliquio di Marco e della sua rossa Ferrari per la mia scarpa destra (dev’essere l’aria di Monza). In quell’istante esatto Marija, senza che glielo chiedessi, mi ha di nuovo offerto delle caramelle. Non le Ambrosoli, che nella mia personale classifica vengono molto dopo quelle alla liquirizia, ma proprio quelle alla liquirizia. È stato un gesto molto semplice, da rivedere al rallenty della moviola di un’ipotetica domenica pomeriggio in cui al posto di 90° minuto ci fossero trasmissioni sulla gentilezza e la sensibilità delle persone. Una cosa come quando si dice di un giocatore che la classe non è acqua. Una cosa così. Ha preso il vassoio dal tavolino, e lo ha girato verso di me dalla parte giusta. Quella delle liquirizie. Credo che il sorriso sul mio volto facesse perfetta pendant con quello di Marco per la Ferrari. È stato allora che abbiamo parlato della «sensività».
Verso le sei meno dieci (la Madonna in genere arriva verso le sei e mezza, sette meno un quarto), ha dato una sbirciatina all’orologio. Non ci siamo subito messi a dire il Rosario perché Francesco aveva dei diritti da accampare sul soggiorno. Dovete sapere che nel soggiorno c’è una televisione. Ho appena finito di dire che è un soggiorno normale. Non ho detto però che quella è l’unica televisione della casa. E questo non è per nulla normale. Già prima Francesco ci ronzava attorno, ma poi, visto quanto eravamo presi dai nostri discorsi su mal di schiena, caramelle, e circuiti di Monza, aveva desistito. La pazienza però ha un limite e la sua lo aveva raggiunto. Aveva perciò deciso che era il caso di forzare l’avamposto (Francesco mi perdonerà se dico che ha proprio la faccia del guerrigliero). Si è fermato sul confine del soggiorno (l’orlo del tappeto) e ha detto «Mamma ti vorrei spiegare perché sto qui». Marija ha interrotto il nostro discorso e gli ha detto: «Dicci pure Francesco». Vi ho già spiegato che Marija è «una sensitiva». In quel caso aveva capito che Francesco aveva un’importante dichiarazione da fare, e che questa dichiarazione non riguardava il permesso di stare lì, permesso che in quella casa tutti hanno: la dichiarazione toccava un argomento che solo chi combatte la battaglia del contenimento del consumo televisivo conosce. «Voglio stare nel soggiorno, perché qui c’è l’unica televisione di tutta la casa». Dopo di che ha acceso la televisione.
Bisogna dire che Marija a questo punto ha rapidamente sedato la sommossa, ma ci tengo a sottolineare che lo spegnimento dell’elettrodomestico non è avvenuto perché in concorrenza con l’imminente apparizione. È noto infatti che quando Marija ha la visione non vede e non sente altro che la Madonna. Non era per qualcosa che riguardava il suo essere veggente, ma per qualcosa che c’entrava con l’essere mamma.
La Madonna «ci» benedice
Alle diciotto abbiamo cominciato a dire il Rosario. Quello che di seguito è avvenuto non lo voglio raccontare qui. Lo potete leggere sul libro che ho scritto.
Con quest’articolo mi interessava documentare un altro digitus. Anzi, ho detto male. Ho voluto documentare che lo stesso digitus ha diversi modi di manifestarsi. Io (lo attesto) ho visto una persona che parla con me con lo stesso cuore e la stessa attenzione con cui parla con la Madonna; ho visto sgranare rosari con la stessa diligenza con cui ho visto scartare caramelle. È quello che interessa noi cristiani. Il miracolo della pazienza e della bontà quotidiana,.
Alla fine dell’apparizione, Marija ha detto a noi tre (al momento dell’apparizione, oltre la Madonna, c’eravamo Marija, la sua amica, il mio amico e io): «La Madonna ci benedice e ci strabenedice».
È una cosa pazzesca che non dimenticherò mai per il resto della mia vita. Ma vorrei far notare che Marija ha detto ci benedice. Questo è il punto. Marija non è diversa da me. La Madonna non preferisce lei a me solo perché a lei appare e a me no. (Sto dicendo una cosa pazzesca). La Madonna preferisce e strapreferisce me allo stesso modo di lei. Ed è presente qui dove sto scrivendo, così come lo era visibilmente (a Marija) nel soggiorno di Monza. Al momento delle caramelle non la vedevo e neanche Marija la vedeva; dopo l’apparizione non la vedevo e neanche Marija la vedeva; durante l’apparizione non la vedevo e Marija la vedeva. Tutto qui. La Madonna s’era fatta vedere da Marija per confermare a ciascuno di noi che lei c’è sempre e ci strabenedice. A prescindere.
È facile da capire. Se il giro è di 360 gradi si ritorna all’inizio. Se la Madonna appare solo alcune volte (90 gradi) è un fatto straordinario. Se appare moltissime volte (180 gradi) è un fatto unico e inaudito. Se appare tutti i giorni, in un soggiorno di Monza, tenendo conto dell’ora legale, mentre i bambini nell’altra stanza fanno la corsa con macchinine, è un fatto pazzescamente normale. È un giro a 360 gradi. È una busta straordinaria con una lettera ordinaria. È una cosa da primi cristiani. La Madonna con Giovanni all’isola di Patmos. La «piccolezza» è agli occhi di Dio la vera grandezza. Attenzione, perché Gesù ha detto di non trattarli male, quei piccoli. Dal guardarci dal disprezzarli poiché i loro angeli vedono il Cielo (cfr Mt 18,10).
Figurarsi che cosa dice se sono i piccoli stessi a vedere.
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